Attentato a Giovanni Paolo II

Il 13 maggio 1981, Papa Giovanni Paolo II subì un attentato da parte di Mehmet Ali Ağca, un killer professionista turco, che gli sparò due colpi di pistola.

Pochi minuti dopo essere entrato in piazza San Pietro per un’udienza generale, mentre si trovava a bordo della sua Papamobile scoperta, Karol Wojtyła fu ferito gravemente da due proiettili sparati da Ali Ağca. Soccorso immediatamente, fu sottoposto ad un intervento di 5 ore e 30 minuti, riuscendo a sopravvivere:

« Sono le 17.17. […]. Ali Ağca ha colpito il pontefice con due proiettili esplosi da una pistola Browning calibro 9 da una distanza di tre metri e mezzo. Il primo proiettile ha raggiunto il papa all’addome, ha attraversato l’osso sacro, è uscito dai lombi, ha sfiorato lo schienale della Fiat Campagnola bianca e ha colpito al torace la pellegrina americana Ann Odre, alla quale verrà asportata la milza. Il secondo proiettile […] ha fratturato l’indice della mano sinistra del pontefice, gli ha ferito di striscio il braccio destro appena sopra il gomito e ha colpito al braccio sinistro un’altra turista statunitense, Rose Hall. […]. In ambulanza [il papa] è assistito dal suo medico personale, Renato Buzzonetti. Privo di conoscenza, è portato in sala operatoria. Il polso è quasi impercettibile. […]. Riceve l’unzione degli infermi dal segretario particolare, don Stanislao Dziwisz. L’anestesista gli toglie l’anello dal dito. Malgrado la perdita di tre litri di sangue stia per provocare la morte per dissanguamento, il cuore regge. […]. L’intervento è portato a termine con successo. »

Giovanni Paolo II al Policlinico GemelliDimesso dal Policlinico Gemelli il 3 giugno, viene di nuovo ricoverato il 20 dello stesso mese per una grave infezione. Il 5 agosto i medici del Gemelli lo operano ancora. Dal 14 agosto al 30 settembre il papa trascorre la convalescenza a Castel Gandolfo.

La visita ed il perdono del Papa

Due anni dopo, nel Natale del 1983, Giovanni Paolo II volle incontrare il suo attentatore in prigione e rivolgergli il suo perdono. I due parlarono da soli e gli argomenti della loro conversazione sono tuttora sconosciuti.

Giovanni Paolo II incontra Mehmet Ali Ağca

Il papa disse poi dell’incontro:
« Ho parlato con lui come si parla con un fratello, al quale ho perdonato e che gode della mia fiducia. Quello che ci siamo detti è un segreto tra me e lui. » (Papa Giovanni Paolo II)

Tuttavia, Indro Montanelli riportò in seguito alcune parole che Giovanni Paolo II, durante una cena privata del 1986, gli riferì sull’episodio: « «Santo Padre», dissi, «lei andò a trovare in prigione il suo attentatore…». «Carità cristiana…». «Certo, carità cristiana. Ma che cosa riuscì a capire dei moventi e dei fini di quello sciagurato?». […] «Parlai con quell’uomo», disse, «dieci minuti, non di più: troppo poco per capire qualcosa di moventi e di fini che fanno certamente parte di un garbuglio… si dice così?… molto grosso. Ma di una cosa mi resi conto con chiarezza: che Alì Agcà era rimasto traumatizzato non dal fatto di avermi sparato, ma dal fatto di non essere riuscito, lui che come killer si considerava infallibile, a uccidermi. Era questo, mi creda, che lo sconvolgeva: il dover ammettere che c’era stato Qualcuno o Qualcosa che gli aveva mandato all’aria il colpo». Giovanni Paolo non fece mai, né nel rievocare quell’episodio né in tutto il resto della conversazione, il nome di Dio o della Provvidenza. Disse soltanto: «Qualcuno o Qualcosa». Ma si sentiva benissimo che in quel Qualcuno o Qualcosa nessuno ci crede quanto lui. E aggiunse anche, con un sorriso: «Per di più, essendo musulmano, ignorava che proprio quel giorno era la ricorrenza della Madonna di Fatima…» »(Indro Montanelli)
L’attentatore venne condannato all’ergastolo dalla giustizia italiana per attentato a Capo di Stato estero (art. 295 CP).

Le indagini e le ipotesi

Le lunghe indagini non portarono mai alla scoperta dei veri mandanti dell’attentato. La commissione Mitrokhin del Parlamento italiano, però, analizzando documenti provenienti da Germania ed Ungheria, stilò una relazione di maggioranza, secondo la quale l’attentato sarebbe stato progettato dal KGB in collaborazione con la Stasi, i servizi segreti della Germania Est, con l’appoggio di un gruppo terroristico bulgaro a Roma, che a sua volta si sarebbe rivolto ai Lupi grigi, un gruppo turco di estrema destra di cui Ali Ağca faceva parte.

Una relazione di minoranza della stessa commissione negò questa tesi; tuttavia, altri documenti scoperti negli archivi sovietici e resi pubblici nel marzo 2005 supporterebbero la tesi che l’attentato sia stato commissionato dall’Unione Sovietica tramite il KDS bulgaro. Le autorità bulgare si sono difese dichiarando che Ali Ağca lavorava per un’organizzazione anti-comunista guidata dai servizi segreti italiani e dalla CIA. La difesa delle autorità bulgare è in parte avvalorata dal fatto che i Lupi grigi erano in effetti al comando del Counter-Guerrilla, il braccio in Turchia della rete “stay behind” Gladio[7][8][9][10], sostenuta segretamente dalla CIA e da altri servizi segreti occidentali.

Le motivazioni che avrebbero portato l’URSS a preparare l’attentato non sono state chiarite; secondo i sostenitori di tale ipotesi, probabilmente l’Unione Sovietica temeva l’influenza che un Papa polacco poteva avere sulla stabilità dei loro Paesi satelliti dell’Europa Orientale, in special modo la Polonia. Tutte queste informazioni vanno considerate come ipotesi, perché ad oggi non sono state comprovate le circostanze e le motivazioni dell’attentato. Lo stesso Papa Giovanni Paolo II, inoltre, dichiarò nel maggio 2002, durante una visita in Bulgaria, di «non aver mai creduto nella cosiddetta connessione bulgara».

D’altro lato, l’inchiesta su un vasto traffico di armi e droga condotta dal giudice Carlo Palermo negli anni ottanta, rivelò che Abuzer Ugurlu (capo della mafia turca che permise ad Ali Ağca di entrare in Bulgaria) e Bekir Celenk (contrabbandiere e tramite fra i Lupi grigi e i servizi segreti bulgari, secondo quanto dichiarato da Ali Ağca), per agire in tranquillità, lavoravano come “agenti doppi”, sia per l’est sia per l’ovest. A queste informazioni si aggiunse quella del coinvolgimento di Cosa Nostra nell’attentato, di cui parlò il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara, ma non furono trovate prove concrete per dimostrare tale ipotesi: infatti Calcara raccontò di essere stato personalmente incaricato da Antonino Vaccarino (ex sindaco di Castelvetrano accusato di associazione mafiosa) di recarsi a Roma il 12 maggio 1981, per incontrare Saverio Furnari e Vincenzo Santangelo (due mafiosi di Castelvetrano) con cui avrebbe dovuto prelevare il giorno successivo due turchi armati in piazza San Pietro; venti minuti dopo l’attentato, all’appuntamento si presentò solo uno dei due uomini, molto agitato e scortato da un uomo, un certo Antonov che, gli dissero, lavorava per l’ambasciata russa.

Subito dopo, Calcara e i due mafiosi tornarono a Milano: lì Furnari e Santangelo uccisero il turco e Calcara li aiutò a seppellirlo nelle campagne dell’hinterland milanese. Tuttavia gli inquirenti che andarono a cercare i resti del turco nel luogo indicato dal collaboratore di giustizia non trovarono nulla e Calcara sostenne che il terreno era stato certamente smosso e il cadavere spostato. Ali Agca ha sempre fatto dichiarazioni contraddittorie e confuse sulla vicenda, anche collegando la sua detenzione con la sparizione di Emanuela Orlandi. Nel 2013 ha suscitato una nuova polemica la dichiarazione, contenuta nell’autobiografia del terrorista turco, secondo il quale il mandante “morale” dell’attentato sarebbe stato l’ayatollah Khomeini, ipotesi ritenuta azzardata, ma non del tutto inverosimile, da molti,.

La lapide fatta apporre da Benedetto XVI sul luogo dell'attentato, che reca l'emblema di Giovanni Paolo II e la data del 13 maggio 1981 in numeri romani.